venerdì 15 giugno 2012

SUNSET PARK -Paul Auster

Miles Heller ha ventotto anni e vive in Florida. Ha poco, eppure ha tutto: l'amore di un'adorabile ragazza di origini cubane, la passione trasmessagli dal padre per il baseball con le sue storie fatte di destino e casualità, e i libri, "una malattia da cui non vuole essere curato". Il lavoro non è un granché, d'accordo, ma lui sembra farlo come se in quell'attività intuisse un misterioso legame con la sua esistenza: affinché le banche possano rimetterle in vendita, deve entrare nelle abitazioni abbandonate e fotografare gli oggetti che gli inquilini vi hanno lasciato. Ma Miles ha una vita precedente da cui negli ultimi sette anni è fuggito. E continuerebbe a farlo se il destino (o il caso) non si mettesse in mezzo: Pilar, la sua ragazza, è orfana e vive con le sorelle maggiori. Ed è minorenne. Così quando decide di trasferirsi da Miles, lui deve avere il loro consenso che ottiene corrompendo la più grande. Ma dopo qualche mese, Angela Sanchez inizia a ricattarlo. A Miles non resta che cambiare aria per un po': in fondo Pilar sarà presto maggiorenne e nulla potrà separarli. Si rivolge all'unico amico con cui è rimasto in contatto, Bing, che insieme ad altri tre ragazzi vive a Brooklyn, in una casa occupata in una zona chiamata Sunset Park. Tornare a New York, la sua città natale, significa fare i conti con i motivi che l'hanno spinto ad andarsene di casa, significa chiarire definitivamente i motivi che hanno determinato la morte del fratello Bobby. 

Tra tutti gli autori americani contemporanei di un certo spessore che ho letto, Paul Auster è sicuramente quello che mi piace di più. Per carità, McCarthy con "La Strada" o Raymond Carver con "Cattedrale" hanno lasciato una traccia indelebile dentro di me e meritano davvero di essere letti (con DeLillo ho invece qualche problema, lo trovo troppo difficile da capire... o forse sono io troppo poco intelligente), però Paul Auster è quello con cui simpatizzo di più, quello di cui segno sempre almeno una citazione e che riesce sempre a trasmettermi qualcosa, anche quando magari un suo romanzo non mi è del tutto piaciuto. Credo che buona parte di questa mia simpatia derivi dal fatto che nei suoi libri ci sono sempre libri. A volte svolgono un ruolo fondamentale, come in "Follie di Brooklyn", a mio avviso un capolavoro imprescindibile, altre sono presenti sullo sfondo in modo quasi silenzioso ma che comunque influenza anche la trama, come in Moon Palace (bellissima la prima parte, noiosa e difficile la seconda) e come, appunto, in questo suo ultimo lavoro Sunset Park.

Una presenza quella dei libri che compare già dalle prime pagine, quando, descrivendo il protagonista Miles Heller, viene detta questa frase: "... ma alla fine i libri non sono tanto un lusso quanto una necessità, e leggere è una malattia da cui non vuole essere curato...". Basterebbe già solo questo per farmi amare un libro. E ovviamente qui, non c'è solo questo.
Il protagonista è un ventottenne in fuga dal passato e dai sensi di colpa, dopo che il fratellastro è morto investito da un'auto, sotto la quale è finito dopo una sua spinta. Da quel momento Miles Heller perde se stesso, perde il suo scopo nella vita e trova nella fuga, un perigrinare da uno stato all'altro degli USA, la sua unica salvezza. Taglia i ponti con la sua famiglia, la madre attrice che lo ha abbandonato da piccolo e il padre, editore, in crisi con la moglie, madre del ragazzo investito. Miles rimane in contatto solo con Bing Nathan, suo compagno dell'Università, che ora vive da squatter in una casa di Sunset Park a New York insieme ad altre due ragazze. 
E sarà proprio lì che Miles andrà a vivere, dopo che è costretto a lasciare la Florida e l'amore della sua vita, la giovane Pilar, perché lei ancora minorenne. Una volta tornato a New York, oltre a sviluppare i suoi rapporti con i suoi coinquilini, l'insicura Ellen, la studiosa Alice e appunto il suo amico Bing, deciderà che è giunta l'ora di riallacciare i contatti con il passato e di prendersi quelle responsabilità da cui è fuggito per anni. Fino all'inesorabile finale.

"Sunset Park" è un libro molto intenso, scritto con uno stile freddo e asciutto, e che analizza i diversi rapporti umani che possono crearsi nella vita: le coppie in crisi che rimandano il più possibile la resa dei conti, il bisogno di sicurezza e stabilità e come questo sia troppe volte difficile da trovare, soprattutto se il passato è troppo pesante da sopportare, la necessità di scoprire sé stessi perché il senso di smarrimento che si prova a un certo punto non ti fa più vivere, il dover prendersi le proprie responsabilità anche quando si vorrebbe solo fuggire, la forza dell'amore nonostante l'età e l'inesorabilità del nostro destino. E lo fa grazie a tanti fantastici personaggi, ognuno ben caratterizzato e ognuno con una sua particolarità, un tratto peculiare della personalità in cui chiunque potrebbe specchiarsi.
Molto bello, anche se non me ne intendo assolutamente, è il filo conduttore del baseball, un legame indissolubile tra padre e figlio che nemmeno sette anni di lontananza potrà spezzare. Così come ho apprezzato molto l'apparizione quasi casuale nella vita di tutti, in momenti e situazioni diverse, del film "I migliori anni della nostra vita", un altro piccolo legame tra questi personaggi tanto diversi tra loro.

Certo, almeno per quanto mi riguarda, non è all'altezza di "Follie di Brooklyn", che come dicevo già prima, considero un grandissimo capolavoro (da cui è tratta anche la frase che fa da sottotitolo a questo blog). Ma è comunque un romanzo molto bello e molto intenso, che ti conquista e che ti fa anche riflettere.
Consigliatissimo!

Nota alla traduzione: si trova spesso qualche termine un po' particolare, non di uso comune, ma credo siano scelte dello stesso Auster. Nulla da dire quindi!


Titolo: Sunset Park
Autore: Paul Auster
Traduttore: Massimo Bocchiola
Pagine: 222
Prezzo di copertina: 12 euro
Editore: Einaudi

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4 commenti:

  1. Ciao Elisa!
    Mi hai convinta...faccio un ordine da ibs e compro follie di brooklyn. Non me ne pentirò vero?
    Sto leggendo di Ruiz Zafon "Il gioco dell'angelo" in lingua originale. Tu per caso l'avevi letto?
    Silvia

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  2. Sono sicurissima che non te ne pentirai!! "Follie di Brooklyn" è fantastico già solo per le citazioni che ha!

    Sì, ho letto "Il gioco dell'angelo", anche io in lingua originale... molto meno bello rispetto a "L'ombra del vento" ma tutto sommato ancora leggibile e godibile... Ti sta piacendo?

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  3. L'ho finito proprio oggi. Mi è piaciuto ma non come l'ombra del vento che rimane un capolavoro, per me.
    Ti farò sapere quando finirò follie di brooklyn!

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  4. ciao condivido l'analisi e il commento su sunset park, anch'io sono un fan di asuster , tra i migliori menzionerei anche "invisible"...follie di brooklyun mi manca ...a questo punto lo prendo ;) andrea Treviso

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